martedì 26 dicembre 2017

Quelle coperte che scaldano le notti degli ultimi di Roma


La signora Tina ha cominciato a fare coperte per i poveri per colmare il dolore della perdita del figlio

La lana scivola tra le dita e due ferri che l'intrecciano sbaragliano le teorie dell'invecchiamento come tempo desolato e privo di consolazione. In punta di economia quel mucchio di coperte colorate che ricopre il divano di casa potrebbe essere definito "investimento produttivo residuale". Ma Tina non è sazia di giorni e continua a credere, faticare e amare. Impiega tre o quattro giorni a tessere con i ferri una coperta. Sorride: «Dipende dalla lana, ma le più ruvide le filo con le più gracili».
Ha 95 anni e non sferruzza per passatempo. Tina fa coperte per i poveri che dormono per strada, per i letti dei dormitori che ogni sera cambiano ospite. Tina fa coperte colorate, perché un po' è il suo modo di riempirle di amicizia e un po' è questione pratica, perché quei gomitoli hanno tutti i colori del mondo. Ma soprattutto Tina e le sue coperte raccontano la forza degli anni, perché anche la vecchiaia ha i suoi valori e la sua bellezza. Non sa nemmeno quante ne ha cucite, non ha mai tenuto il conto. Mostra il fuso di legno, ricordo di anni passati, costruito dal marito falegname, tanto, tanto tempo fa. Campagne romagnole delle colline di Pennabillí, terra da lavorare, case da costruire. La lana affidata alle donne, quando tutti erano poveri e ci si aiutava tenendosi vicini. Alla mattina se il sole è caldo sferruzza seduta sul balcone di casa, periferia di Roma.
Ha cominciato per colmare un dolore estremo, che non passa. Accade quando un genitore sopravvive al figlio e quella morte è come un buco nero che inghiotte tutto, non c'è dolore più forte e non ci sono parole per colmarlo. Tina invece c'è riuscita, anche se ora le lacrime cadono sulla lana, mentre parla di Franco, che andava dai poveri sulla strada tutte le sere insieme ai volontari di Sant'Egidio, anni da pionieri della misericordia e di minestre calde. Ora Franco è memoria in quelle coperte e il dolore è più lieve.
Nella Comunità di Sant'Egidio, a Roma, c'è un battaglione di donne che sferruzzano appena possono. Tina ne è solo la decana. Ci sono mamme, nonne, nipoti. Ci sono gomitoli di lana che passano di mano, perché qualcuno li trova in casa e non sa che farsene, perché un negozio chiude, perché una nonna muore. Sembra niente fare coperte. Eppure è un modo anche per tramandare sapienza manuale. Tina usa anche i quattro ferri quando intreccia le lane per i calzerotti. Si fanno coperte, calze, cappelli di lana per i carcerati, il lato sconosciuto della solidarietà della capitale e insieme una grande lezione di vecchiaia per i giovani. Le coperte di queste settimane finiranno sui letti di "Casa Heidi", ex scuola del Laurentino, periferia romana, dormitorio invernale che Sant'Egidio e le parrocchie della zona aprono a dicembre e chiudono ad aprile. Ne occorrono una sessantina, ma Tina è veloce con quelle dita che mai si sono fermate e oggi accarezzano i poveri nell'arte della lana. Alza gli occhi chiari, ferma i ferri e dice in un soffio: «Ho quello che basta e ho tempo per fare come il Signore vuole e come Dio ci dà».

di Alberto Bobbio

FONTE: Famiglia Cristiana
23 novembre 2017


Storia semplice ma veramente edificante, che ci insegna che non è mai troppo tardi per fare del Bene e per vivere con Amore!
Grazie cara Tina per il tuo bellissimo esempio e grazie a tutti coloro che si "spendono" con tanta buona volontà per il Bene del proprio prossimo. La nostra società si regge di questo. Grazie di cuore!

Marco

venerdì 22 dicembre 2017

E' Natale

E' Natale ogni volta
che sorridi a un fratello
e gli tendi la mano.

E' Natale ogni volta
che rimani in silenzio
per ascoltare l'altro.

E' Natale ogni volta
che non accetti quei principi
che relegano gli oppressi
ai margini della società.

E' Natale ogni volta
che speri con quelli che disperano
nella povertà fisica e spirituale.

E' Natale ogni volta
che riconosci con umiltà
i tuoi limiti e la tua debolezza.

E' Natale ogni volta
che permetti al Signore
di rinascere per donarlo agli altri.



Madre Teresa di Calcutta


domenica 17 dicembre 2017

Costruire il futuro? E' un gioco da ragazzi


LE MISSIONI DON BOSCO OPERANO IN CIRCA 50 PAESI

Dalla Liberia alla Cambogia, dall'India alle Filippine, anche in Siria, sotto le bombe. Scuole, centri di formazione professionale e oratori aperti a tutti, cristiani e non. Parla il presidente Giampietro Pettenon

Sono in Liberia e in Cambogia, in India e nelle isole Salomone, in Congo e nelle Filippine. Sono perfino ad Aleppo (Siria), dove, anche sotto le bombe, organizzano “estate ragazzi”. Dei 16 mila religiosi che compongono la congregazione salesiana, circa 10 mila vivono sparsi nel mondo, a fianco dei giovani. «La dimensione missionaria ci appartiene fin dalle origini» spiega Giampietro Pettenon, un coadiutore salesiano presidente delle Missioni don Bosco. E nonostante la straordinaria diversità di ambienti di vita, ci sono alcune costanti. «Le nostre scuole e i nostri centri di formazione professionale sono aperti a tutti, cristiani e non e ovunque sono riconosciuti per il loro impegno formativo». Poi, naturalmente, c'è l'oratorio. «Un cortile, un pallone e una persona pronta ad accoglierti. Questo modello funziona a tutte le latitudini. Senza mai rinnegare quello che siamo» riflette Pettenon, «sappiamo avere uno stile molto “laico” che ci consente di raggiungere le realtà più lontane. Siamo accettati e rispettati in Myanmar, un Paese ateo».
In tempi di grande instabilità, molti missionari sono esposti a pericoli e a volte pagano con la vita: «Tra le aree più critiche lo Yemen e la Siria». Ma anche quando non ci sono forti tensioni politiche, ogni giorno si combatte la battaglia contro vecchie e nuove forme di disagio, «a cominciare dalla durissima realtà dei ragazzi di strada, presente in tante grandi città del mondo».
Per sostenere questo straordinario impegno ci sono le Missioni don Bosco, collegate a una cinquantina di Paesi. Oltre 200 mila sono i benefattori che scelgono di dare un contributo. «Sono la nostra forza. Su indicazione del fondatore, ogni giorno preghiamo per loro durante la prima Messa mattutina celebrata nella basilica di Maria Ausiliatrice a Torino, punto d'origine dell'esperienza salesiana». Per saperne di più: www.missionidonbosco.org 011/3990101

di Lorenzo Montanaro


NEL CUORE DELL'AFRICA

Dalla strada alla vita, i miracoli di Lubumbashi


Nella terza città del Congo i Salesiani ofrono ai ragazzi poveri ed emarginati una concreta possibilità di riscatto sociale


Quando lo vedono arrivare, a bordo del suo furgone, i bambini di strada gli corrono incontro e lo abbracciano. Padre Eric Meert, sacerdote belga, è uno dei salesiani presenti a Lubumbashi, la terza città del Congo. Per migliaia di giovani costretti a vivere di espedienti, senza famiglia né un tetto, lui è uno dei pochissimi punti di riferimento, è un sorriso da incontrare, una carezza da ricevere, insieme con una concreta proposta di cambiamento.
Quella congolese è una missione storica, la più antica presenza salesiana in Africa: la sua fondazione risale al 1911. Nel tempo questa realtà ha dovuto e saputo trasformarsi, per servire i nuovi poveri e modellarsi sui cambiamenti di una terra dai mille contrasti.
«A Lubumashi da anni la situazione dei bambini di strada è divenuta un'emergenza» ci racconta Alessia Andena, del dipartimento progetti Missioni don Bosco, appena rientrata dal Congo. «Arrivano da tutto il paese, nella speranza di trovare un'alternativa alla desolante povertà delle campagne». Ma quando, completamente soli, raggiungono la città, incontrano un destino duro e pieno di pericoli.
Tra le baracche sgangherate si possono raccogliere tante storie. «Molti ragazzi finiscono sulla strada perchè i genitori non li possono mantenere: manca il cibo e l'istruzione non è gratuita. Altri vi arrivano a seguito di disgregazioni familiari». Ma ci sono anche fattori culturali. «Vi sono bambini che vengono accusati di stregoneria. Può bastare un'anomalia del comportamento, magari dovuta a forme di disabilità, oppure una disgrazia in famiglia per la quale si cerca un capro espiatorio. E' una ferita profonda: se non si interviene in tempo lascia i segni per tutta la vita».
A questo si aggiungono tutti i pericoli legati alla vita di strada: il degrado, il rischi di subire abusi, il consumo di droghe. Ecco i mille volti che padre Eric incontra ogni notte, mentre gira i quartieri periferici insieme a un confratello burundese. Ogni ragazzo, con il suo nome e la sua storia, riceve un'attenzione unica e personale. E per tutti c'è la proposta di andare al centro di Bakanja Ville, il primo passo verso una nuova vita. In questa struttura salesiana (una ventina i padri che vivono a Lubumashi, cui si affianca il lavoro di assistenti sociali, psicologi, educatori) i ragazzi ricevono una prima assistenza in una casa sicura. «Quando possibile si cerca di reinserirli nelle famiglie d'origine. E si offre loro la possibilità di studiare, gratuitamente, per costruirsi un futuro» spiega ancora Alessia Andena.
Sul modello di don Bosco, anche in Congo i Salesiani hanno avviato scuole e centri di formazione professionale, che formano meccanici, falegnami e molti altri professionisti. «Grazie a questi percorsi tanti giovani riescono a uscire dal disagio. Quando capiscono di essere amati, il cambiamento diventa possibile». Una storia, tra tante? «Ho incontrato un bimbo di soli nove anni. Timido e gentile, era in strada da quattro giorni e dormiva da solo. Gli ho promesso che a Bakanja Ville ci saremmo incontrati. E lui mi ha dato fiducia».

di Lorenzo Montanaro

FONTE: Famiglia Cristiana N. 30
24 luglio 2016


Che opera straordinaria che compiono i missionari nel mondo! Essi portano Fede, speranza, aiuto morale e materiale, amicizia.... e tanto altro ancora. E lo portano sopratutto nei luoghi dove la povertà, l'ignoranza, l'anarchia e le guerre la fanno spesso da padrone. I missionari sono veramente una grande "Luce" accesa nel mondo!
Ricordiamoci spesso di loro.... ricordiamoci di loro e sosteniamoli sia materialmente che spiritualmente, perchè essi hanno bisogno di noi, così il mondo ha bisogno di loro!

Marco

mercoledì 13 dicembre 2017

La commovente storia di Julie e Mike, malati di tumore, insieme finno alla morte


Una foto mano nella mano che ha commosso la Rete: Julie e Mike, 50 anni lei, 57 lui, si tengono per mano in una camera di ospedale. Sono entrambi malati terminali di tumore: e questa è l’ultima immagine che li ritrae insieme, che racconta del loro amore e della loro battaglia contro la malattia. Mike si è spento il 7 febbraio, la moglie Julie solo cinque giorni dopo.

Mike e Julie, marito e moglie malati di tumore

Una storia straziante la loro: a Mike, nel 2013, viene diagnosticato un tumore al cervello. La moglie Julie decide di stargli accanto e diventa la sua infermiera casalinga. Lo assiste e cura insieme ai loro tre figli: Luke, 21 anni, Hannah, diciottenne e al 13enne Oliver. Poi nel maggio 2016 ecco l’altra brutta notizia: anche Julie è malata, un tumore al fegato e ai reni che si è diffuso velocemente ad altri organi. Entrambi ricoverati all’ospedale St. John di Merseyside sono stati vicino fino all’ultimo, tenendosi la mano fino all’ultimo. Hanno vissuto una vita insieme, uno accanto all’altra, sostenendosi sempre. Anche negli ultimi giorni.

La mobilitazione online e la raccolta fondi

L’immagine, diffusa dai figli, è diventata virale. I ragazzi vivono a Wirral, nei pressi di Liverpool, e gli amici della coppia stanno cercando di fare tutto il possibile perché possano continuare a trascorrere la loro vita lì. Come promesso a Julie, poco prima della sua scomparsa. Luke è uno studente alla Liverpool Theatre School, Hannah studia alla Performing Arts School and College Liverpool di Elliot Clarke, mentre Oliver è ancora alle superiori: per loro è stata aperta una raccolta fondi su JustGiving che ha già raccolto oltre 200.000 sterline, circa 235mila euro.
«Vogliamo dire un enorme grazie a chiunque ha donato e ha mandato un aiuto in questo nostro momento di difficoltà» hanno scritto i tre fratelli. «Vogliamo che sappiate che nostra mamma si è emozionata sapendo che noi tre stiamo così a cuore a tanti amici, alla famiglia e a tanti estranei che hanno fatto un gesto di cuore».

di Raffaella Cagnazzo

14 febbraio 2017

FONTE: Corriere della Sera


Un'altra intensissima storia di Amore coniugale che tocca veramente il cuore!
Julie e Mike, insieme per tutta la vita, insieme nella malattia e insieme, possiamo crederlo veramente, anche "oltre" la vita. Perchè l'Amore Vero è per sempre!

Marco

sabato 2 dicembre 2017

Insieme per 71 anni, marito e moglie muoiono lo stesso giorno tenendosi per mano


I due anziani coniugi sono morti a 95 e 96 anni dopo aver superato la guerra mondiale e trascorso una vita sempre insieme.

Si erano conosciuti la prima volta durante un appuntamento al buio nei primi anni '40 e da allora si erano innamorati l'uno dell'altra decidendo di rimanere insieme fino alla fine dei loro giorni arrivata dopo 71 anni di matrimonio, nello stesso giorno per entrambi. È la commovente storia di un'anziana coppia di coniugi statunitensi, deceduti mano nella mano in una struttura di ricovero a Norfolk, nello stato della Virginia. Dopo essere stati separati dalla Seconda Guerra Mondiale, durante la quale lui ha servito nei Marines e lei come infermiera in Marina, Isabell Whitney e Preble Staver si sono sposati nel '46.

Durante la loro vita hanno avuto cinque figli, tanta felicità e anche momenti di dolore come la morte prematura di un figlio, deceduto a seguito di un brutto incidente durante una partita di football al liceo, ma hanno attraversato ogni momento sempre insieme. Uniti hanno anche affrontato i primi sintomi della vecchiaia e poi la malattia di lei con la demenza che l'ha colpita negli ultimi anni. Insieme si sono trasferiti in una struttura per anziani dove però la malattia, col passare degli tempo, li ha costretti a vivere in stanze separate nell'ultimissimo periodo. Quando i medici e familiari hanno capito però che la loro ora era vicina li hanno rimessi uno vicino all'altro e così insieme, mano nella mano, sono morti a poche ore di distanza l'uno dall'altra nello stesso giorno.

Commovente il ricordo della figlia Laurie Clinton che ha rivelato un emozionante momento vissuto dai due coniugi pochi giorni prima della loro morte. "Mia madre è stata portata a far visita a papà per il suo 96° compleanno il 17 ottobre. All'improvviso ho sentito questa piccola voce flebile, era mamma che nonostante la demenza cantava Happy Birthday a papà" ha raccontato la donna, rivelando: "A quel punto sono sembrati più calmi e più tranquilli e così so rimasti fino al 25 ottobre quando sono morti a 95 e 96 anni".

21 novembre 2017

FONTE: Fanpage


Tenerissima storia d'Amore coniugale che tocca veramente il cuore. L'Amore, quello vero, è davvero per sempre!

Marco