giovedì 25 agosto 2016

Un pugile dal cuore grande


L’ex campione europeo dei pesi massimi Vincenzo Cantatore cura un progetto di boxe che migliora la vita di tanti ragazzi in difficoltà: “Il Papa mi ha detto vai avanti. La gratuità e il prossimo riempiono la vita”

Nel 2000, dopo aver raggiunto una serie di obiettivi nella vita e nella carriera sportiva, ho deciso di dedicare una parte del mio tempo a chi era meno fortunato di me e viveva tra mille difficoltà”. Inizia da qui la storia di Vincenzo Cantatore, uno dei pugili italiani più forti e rappresentativi degli ultimi vent’anni. Picchiatore sul ring, peso massimo alto un metro e novanta, ma dal cuore immenso nella vita di tutti i giorni.

Dal carcere alla casa di cura

Nel 2002 Vincenzo inizia a lavorare a un progetto per rieducare mentalmente e spiritualmente i detenuti. Una scelta che qualcuno critica: “Si porta uno sport violento in un luogo già violento”, dicono. “La boxe, invece, poteva essere la cura giusta per gli animi dei detenuti, che sarebbero stati educati al rispetto di regole e valori a loro estranei”, racconta oggi l’ex campione.
Se la sfida del carcere non decolla come avrebbe voluto, per Vincenzo si apre presto un’altra porta: quella della clinica Villa Letizia nel quartiere di Monteverde a Roma. Qui sono in cura ragazzi affetti da patologie neurologiche o psichiche. “Lì conosco il dottore Santo Rullo, psichiatra e direttore della casa di cura, con il quale concordiamo una serie di progetti di riabilitazione per i giovani ospiti. Tra questi ne curo uno in particolare, il No contact boxe for health, grazie al quale abbiamo ottenuto risultati molto importanti per la salute di questi ragazzi. Si tratta di un allenamento che richiama la boxe, senza il contatto fisico, prevede uno sforzo considerevole e il recupero attraverso un particolare integratore, non un farmaco, che associato all’allenamento ha una funzione di antidepressivo. I test sono molto positivi, siamo tutti soddisfatti del supporto offerto a questi ragazzi a titolo totalmente gratuito e questo tengo a sottolinearlo”.

Pulizia mentale e fisica

Dai dialoghi con i suoi colleghi in clinica, il campione si convince che il problema che hanno in comune è il non amarsi, non volersi bene. E siccome non si può amare gli altri se non si ama prima sé stessi, studia un programma riabilitativo che mira proprio a colmare questo vuoto che portano dentro. Dall’aspetto fisico alla pulizia mentale, si registrano un insieme di prestazioni che porta un miglioramento esponenziale in tutto l’organismo. “Quante volte ho sentito dire dopo gli allenamenti: "Vincenzo ora sì che mi sento bene", "mi hai cambiato la vita", "non pensavo di poter arrivare a questi risultati"”. Il lavoro, dunque, inizia a dare buoni frutti.

Incontro con il Pontefice

Mentre Vincenzo, visti i risultati, si impegna a esportare il progetto anche fuori da Villa Letizia – “perché aiutare il prossimo ti trasforma la vita” – matura un incontro a dir poco speciale. “Un mio carissimo amico, a cui avevo proposto di allenarsi con No contact boxe for health, pur non avendo alcuna patologia, conosce bene Papa Francesco. Gli ho chiesto di aiutarmi a incontrarlo per raccontargli di questo progetto che sta trasformando la vita a tanti ragazzi”. Vincenzo riesce a vedere di persona il Papa in due occasioni: prima dell’estate 2015 e alla vigilia del recente viaggio a Cuba e negli Stati Uniti.

“Mi ha detto: vai avanti”

Non riesco a trovare un aggettivo per descrivere cosa ho provato ogni volta che l’ho incontrato. Una sensazione non bellissima, di più. Avevo di fronte la persona che sta rivoluzionando il mondo, non solo la Chiesa. Una persona eccezionale che sta facendo riavvicinare alla fede tanta gente in tutto il mondo”, racconta. “E’ stato entusiasta nel conoscere il progetto e lui, che da sempre ha dimostrato vicinanza alle persone in difficoltà, soprattutto disabili, mi ha spalancato le porte. Ha detto di sostenerlo e di tenerlo al corrente”.
La spinta del Pontefice sprona Vincenzo a moltiplicare gli sforzi per aiutare questi ragazzi bisognosi. “Sono una persona molto credente e praticante. Frequento un gruppo di preghiera a Piazza del Popolo a Roma. E almeno una volta al giorno ho un colloquio personale col Signore. Ho lavorato spesso con persone che avevano bisogno del mio aiuto. Tante volte non ho neppure pubblicizzato alcune iniziative. Quella della boxe con persone con disagio psichico e malati di Parkinson, la tengo particolarmente a cuore: esprime la grandezza della gratuità. Dare agli altri senza chiedere nulla in cambio: è la cosa più bella che si possa fare, ti gratifica nell’anima”.

Piccoli, grandi passi

La chiamata a questo voto di gratuità è stata casuale. “Sono partito da zero. Ho costruito una famiglia, ho avuto dei figli, solidità economica, gloria sportiva. Un giorno mi sono svegliato e ho riflettuto seriamente: volevo capire se tutto questo rappresentasse la totale pienezza. E mi sono reso conto che c’era un vuoto. Nella mia vita, soprattutto da ragazzino, ho incontrato tanti amici che si sono bruciati, spesso senza il supporto della famiglia. Io, invece, ho avuto il sostegno dei genitori e la costanza di praticare e dare tutto per una disciplina sportiva. Ecco perché il mio auspicio è che sempre più persone nelle mie stesse condizioni possano fermarsi un attimo e riflettere: guardare al proprio passato e al proprio presente, per allungare una mano al prossimo”.


Tornare ad avere fiducia in sé stessi

Villa Letizia a Roma, la casa di cura dove Vincenzo Cantatore ha avviato il progetto di boxe riabilitativa, accoglie ragazzi con problemi neurologici, con disagio psichico e malati di Parkinson. L’obiettivo dei progetti di riabilitazione è “il miglioramento delle capacità relazionali, il recupero delle capacità individuali e dei livelli funzionali di autonomia”. Un cambiamento dello stile di vita che prevede cura della persona e igiene personale, gestione del comportamento alimentare e di comportamenti a rischio, gestione corretta del denaro. Il tutto con il sostegno di operatori sanitari specializzati e di amici e familiari che accompagnano il percorso terapeutico.

Quel pellegrinaggio indimenticabile

Tanti gli episodi legati alla solidarietà che l’ex pugile Vincenzo Cantatore ha tenuto per sé. “Uno di quelli che mi ha più segnato è stato l’aiuto offerto a un giovane di 22 anni che da un giorno all’altro si è ritrovato con una grave malattia del sistema neurologico e ora ha bisogno delle stampelle per muoversi in casa. Durante un pellegrinaggio ci siamo conosciuti e la sua storia mi ha subito colpito. Ricordo ancora quando l’ho portato in spalla per arrivare al luogo di preghiera. Una sensazione incredibile”.


di Gelsomino del Guercio

FONTE: A Sua Immagine N. 147
31 ottobre 2015

lunedì 15 agosto 2016

Attentato a Nizza: "Dov'è l'uomo che ha salvato la vita a mia figlia?"


Nella strage di Nizza, tra gli 84 morti, le centinaia di feriti, c'è un eroe che ha provato a salvare delle vite perdendo la sua. E' l'uomo con lo scooter


ATTENTATO A NIZZA. Nella strage di Nizza, tra gli 84 morti, le centinaia di feriti, c'è un eroe che ha provato a salvare delle vite perdendo la sua. È un motociclista che affianca il camion lanciato a tutta velocità sulla folla e cerca addirittura di aprire il portellone dell'autista ma cade, finisce sotto le ruote del mezzo e viene ucciso dall'attentatore.
Da giovedì notte torniamo a quei filmati, a quei siti, quasi per riavvolgere la nostra storia, le nostre storie, perché siamo nella necessità di provare a fare i conti con quella strada di Nizza lungo il mare, una strada vuota perché svuotata. Hanno tolto i passeggini abbandonati, tirato su i giochi rimasti sull'asfalto, portato via i cadaveri, assistito i feriti, ripulito il sangue, sostituito gli arredi urbani. Vorremmo dire che adesso è sempre luglio. È sempre la Promenade. È sempre la nostra vita. In questo lavoro che ciascuno di noi sta cercando di fare, forse vale la pena guardare un solo filmato: quello dell'uomo con lo scooter. È la prima persona che cerca di fermare il tir. Avviene proprio all'inizio della folle corsa. È così piccolo rispetto al camion che il video lo devi vedere più volte per distinguerlo nel buio. Che volevi fare? Che pensavi di ottenere? Non l'avevi mai sentito il risucchio d'aria quando quei bisonti della strada ci sorpassano in autostrada? Noi, con tutta la macchina, siamo alti quanto una ruota e tu con una mano dai gas e gridi "alt"?
Non so cosa hai pensato di fare ma hai fatto qualcosa di così grande che chiamarti eroe è poco. Hai fatto quel qualcosa di grande che fanno solo i piccoli, quelli del Vangelo però. Quei piccoli che sono padroni di tutto: del Regno di Dio addirittura. Perché non è vero che in quei momenti non si sa cosa fare e che si agisce di impulso: in quei momenti si vede chi è grande.


L'uomo con lo scooter. Un'amica di una amica mi racconta di un signore di cui non sanno nulla, neanche se è vivo, che all'arrivo del tir, pronto a scappare nel fuggi fuggi generale, si accorge di un gruppetto di sedicenni italiane paralizzate dal terrore e si ferma e le butta giù una ad una sulla spiaggia, salvando a tutte la vita. L'amica dell'amica è la madre di una delle ragazze salvate: dell'uomo non sanno se è vivo, non sanno il nome, non c'è neanche un video, solo l'eterna gratitudine delle ragazze e dei loro genitori.

Nell'uomo dello scooter, nel signore che salva le ragazze, c'è ogni uomo che ha coperto la moglie salvandola, ogni donna che ha spinto via il passeggino del figlio, ogni infermiera che ha soccorso un bambino: ognuno di loro è l'appiglio per rialzarsi e rinascere dai nostri stessi dolori.

Penso ad altre parole ancora, quelle del Papa all'Angelus di ieri. "L'ospite di pietra! Per accoglierlo non sono necessarie molte cose; anzi, necessaria è una cosa sola: ascoltarlo — la parola: ascoltarlo — dimostrargli un atteggiamento fraterno, in modo che si accorga di essere in famiglia, e non in un ricovero provvisorio". Un ospite accolto e servito ma come fosse di pietra. Tanti servizi ma poco ascolto. Quell'uomo e il suo scooter, il signore della spiaggia, tanti altri eroi sconosciuti, hanno servito l'altro ascoltando le loro urla, hanno ascoltato il loro terrore. E si sono fermati, sono accorsi, sono morti. Hanno trasformato la pietra in carne.
Lo fa Dio con i cuori e lo facciamo noi quando diamo la vita. Di morte ne abbiamo avuta tanta. Guardiamo a queste storie, a queste persone piccole, rialziamoci e risorgiamo.

di Mauro Leonardi

18 luglio 2016

FONTE: Il Sussidiario



E' passato quasi un mese da quell'assurdo, sanguinoso attentato di Nizza, anche se il ricordo di quei momenti terribili non è passato e non credo passerà mai.
Ho trovato questo intenso articolo quasi per caso sul web e lo riporto con molto piacere sulle pagine di questo blog, perchè è un articolo che ci dice tanto, che ci dice, semmai ce ne fosse ancora bisogno, come anche nelle tenebre più scure di atti terroristici come questi, ci sono sempre delle Luci che risplendono vivissime, le Luci di quelle persone che senza esitazione e con slancio d'Amore e di Generosità purissimi, tendono le proprie mani verso il prossimo, cercando di salvarlo, anche a costo della propria stessa vita. Come ha fatto "l'uomo dello scooter", come ha fatto il "signore della spiaggia", come certamente hanno fatto tante e tante altre persone che hanno cercato di proteggere, aiutare, soccorrere e salvare le persone vittime di questo insano, folle gesto.
L'Amore non cesserà mai, stiamone certi! Dio ce lo ha messo nel cuore e questo sempre risplenderà. E quanto più la tenebra sarà buia, nera e profonda, quanto più l'Amore dei giusti, dei buoni e dei Santi, splenderà vivo e glorioso. Siamo assolutamente certi di questo e cerchiamo noi stessi di essere Luce per il mondo. E quanto più lo saremo.... quanto più il mondo vivrà nella Giustizia e nella Pace. 

Marco

giovedì 4 agosto 2016

l'Amore più grande

C'era molta gente quella domenica alla Santa Messa. Lo sguardo del parroco parve abbracciare tutta intera la folla dei fedeli che per quanto riempisse la chiesa, rimaneva sempre una piccola parte della grande massa di persone che costituivano la sua parrocchia alla periferia di una grande città.

Al momento dell'omelia il parroco si rivolse all'assemblea e disse: Oggi non sarò io a parlarvi. Se mi consentite vorrei invitare un mio caro amico d'infanzia a dirvi alcune brevi parole.

Gli occhi della gente accompagnarono con interessata curiosità i passi sicuri di un vecchio dal volto energico che sembrava intagliato in uno scuro legno. Una volta preso posto all'ambone, pareva un grande vecchio albero avvezzo alle tempeste.

La sua era una voce profonda e pareva nascesse dal silenzio e dalla solitudine. Cominciò raccontando di un uomo, del figlio di quest'uomo e dell'amico del figlio di quest'uomo.

Un giorno un uomo organizzò una gita in barca a vela in mare aperto, invitando anche il figlio e un amico del suo figlio. Questi accolsero con gioia l'invito e quell'opportunità. Il padre era un valente marinaio e conduceva la barca con abilità tra le onde. Ma ad un tratto furono colti da un'improvvisa tempesta. Il vento strappava le vele e la barca sembrava sempre più ingovernabile. Ad un certo punto un'onda più forte scaraventò fuori bordo i tre naviganti...

Quasi nascosti dietro una colonna della chiesa due giovani cominciarono a prestare maggiore attenzione al racconto del vecchio (all'inizio vedendolo salire all'ambone avevano assunto quella assopita attenzione che usavano quando ascoltavano le prediche del loro parroco).

Il vecchio continuò: Il padre annaspando nell'acqua vide vicino a lui una corda ancora agganciata alla barca. Volse lo sguardo tutto attorno e vide a destra suo figlio e a sinistra l'amico del figlio ed entrambi stavano lottando contro la prepotenza delle onde. Non ce l'avrebbero fatta a salvarsi, ed era impossibile raggiungerli a nuoto. La sola cosa che poteva fare era gettare loro la cima della fune. Ma la cima era una e loro due erano molto lontani l'uno dall'altro. Il padre doveva decidere a chi gettare la cima della fune. In un attimo passò per la sua mente questo pensiero: mio figlio è un ragazzo di fede che ama Gesù, il suo amico neppure sa chi è Gesù. Con il cuore che gli si spezzava e gridando: "Figlio mio, ti amo con tutto il cuore!" gettò la cima della fune al suo amico, mentre le onde sommergevano e facevano sparire nei flutti del mare il suo unico figlio.

Nella chiesa calò un silenzio colmo di commossa attenzione. Il padre - disse ancora il vecchio - sapeva che suo figlio sarebbe entrato nell'eternità di Gesù e sapeva anche che il suo amico mai aveva conosciuto il Salvatore. Per questo motivo sacrificò suo figlio: per permettere all'altro di conoscere Gesù. Questo, cari parrocchiani - continuò il vecchio - è lo stesso modo di fare di Dio stesso. Egli ha sacrificato il suo unico figlio affinché noi potessimo salvarci. Ancora oggi, forse proprio adesso, ad ognuno di noi Dio getta una fune per consentire la nostra Salvezza.

Il vecchio, il cui volto pareva quasi luminoso, fece pian piano i pochi passi che lo separavano dal suo posto e tornò a sedersi.

Nella chiesa il silenzio veniva interrotto solo da qualche pianto trattenuto. Alla fine della Messa i due giovani che si erano lasciati prendere dall'interesse per quanto raccontava il vecchio si avvicinarono a lui e gli dissero: La storia che hai raccontato è veramente interessante, ma pensiamo che il padre non fu molto realista in quello che fece. Egli sacrificò la vita del figlio basandosi esclusivamente sulla mera speranza che l'amico diventasse Cristiano.

Ma è proprio questo il messaggio - rispose il vecchio - non è molto logico quanto fece il padre, ma questa storia ci fa un po' capire ciò che deve aver significato per il nostro Padre celeste, il fatto di dare Suo Figlio per Amore di ognuno di noi.

Il vecchio guardò la sua vecchia Bibbia sdrucita e consunta poi alzò lo sguardo e fissando negli occhi quei giovani bisbigliò loro sottovoce: In confidenza, vi devo dire che il padre del racconto sono io stesso e l'amico di mio figlio... è il parroco di questa Chiesa.