martedì 26 luglio 2016

Mia sorella Simona, uccisa come una martire


«Spero che il suo sangue e quello del bambino che portava in grembo possa contribuire a realizzare un mondo più giusto e fraterno»

di Maria Elefante

Don Luca ha le mani salde sul volante, ma prega. Riesce a farlo senza un crocefisso tra le mani. In auto da Santa Lucia di Serino dove è parroco a Magliano Sabina, in provincia di Rieti, dove è nato, ha recitato le preghiere a voce alta. Avrà un compito molto importante, sia da figlio che da uomo di Fede. E proprio questo duplice ruolo che lo investe di una responsabilità importante: quella di dare conforto a tutta la famiglia per la morte di sua sorella Simona.
«Una ragazza libera, con una grande umanità». La sua mamma, rievoca don Luca, ha parlato con Simona proprio pochi minuti prima dell’attentato, «non più di mezz’ora prima. Si sentivano spesso, Simona era al telefono con mamma proprio mentre stava andando verso quella caffetteria. Le aveva detto che stava andando a cena con i colleghi perché poi tutti sarebbero tornati un po’ a casa per due settimane. Una prassi per loro che lavoravano all’estero, dopo due mesi fuori, finalmente a casa con i parenti». Simona era attesa a Magliano la settimana seguente: «Non vedevamo l’ora di riabbracciarla ma soprattutto di vederla con il pancione. Era incinta di sette mesi, il suo fidanzato voleva che rimanesse in Italia fino alla nascita del bimbo. Ma lei aveva già deciso cosa fare. Conoscendo mia sorella, probabilmente sarebbe ritornata al lavoro e il suo bimbo sarebbe diventato davvero un cittadino del mondo. Aveva deciso anche il nome. Le piaceva Michelangelo e voleva chiamarlo così. A me non convinceva, tant’è che provai a suggerire altri nomi ma lei niente. Il suo bambino doveva chiamarsi proprio così: Michelangelo».


Simona, ricorda trattenendo a stento la commozione don Luca, era una ragazza molto determinata.
«Era essenzialmente una ragazza libera. Proprio uno spirito libero. Era decisa e forte, aveva degli obiettivi da cui non si è mai discostata e che puntualmente ha raggiunto. Era amorevolmente testarda. Simona era una ragazza piena di vita e proprio questo suo carattere deve essere inteso come un testamento spirituale che lei lascia a tutte le persone del mondo che la stanno conoscendo solo ora, dopo l’attentato a Dacca». Innamorata della vita e quindi anche di quel lavoro che l’ha portata in giro per il mondo. «Era un lavoro che l’appassionava», prosegue il fratello sacerdote. «Prima di andare in Bangladesh, Paese che conosceva molto bene, aveva iniziato in Cina, poi in Australia e ancora in Perù. Il settore dell’abbigliamento le piaceva molto e le piaceva anche viaggiare. Aveva conservato tanti ricordi da ogni Paese in cui aveva vissuto. Proprio per le tante esperienze avute all’estero non le mancavano tante opportunità qui, ma per il suo spirito libero si sentiva cittadina del mondo, era difficile trattenerla. Molti ragazzi sono costretti a partire. Come parroco porto conforto a tante famiglie che hanno i figli lontani. Purtroppo, soprattutto al Sud, le ferite della mancanza del lavoro sono più dolorose. Ma questo, comunque, non era il caso di Simona. Lavorare all’estero per lei era una scelta, un suo desiderio, ed era ormai il suo stile di vita».

Don Luca è stato colpito due volte come fratello e come uomo di Fede. Gli facciamo la domanda più difficile, gli chiediamo cosa direbbe a chi ha ucciso sua sorella.
«Io sono un uomo di Dio e rispondo con il Vangelo della Misericordia e del Perdono con la consapevolezza che parliamo di una cultura religiosa che può essere interpretata basandosi sulla violenza. E questo sistema corrotto basato sulla violenza per noi deve essere una possibilità di crescita. La riconciliazione è l’opportunità di riaccostarci alla vita con rispetto e libertà, la stessa che Simona ha vissuto in maniera piena in giro per il mondo e facendo quello che desiderava».
Morire perché non si conosce un versetto del Corano.
«Un martiro», ripete don Luca. «Un martirio. Ed è anche quello che stiamo vivendo noi in famiglia e nella comunità. Vede io sono il parroco di una comunità dedicata a Santa Lucia. Erroneamente si attribuisce alla Santa la morte legata alla perdita degli occhi e invece è stata sgozzata. Mia sorella, per non conoscere un versetto del Corano, ha subito la stessa sorte di Santa Lucia. Questo mi fa pensare a lei come un’eroina che ha dato testimonianza del Vangelo».
I terroristi che chiedevano il Corano erano di buona famiglia e istruiti. La cultura quindi non può cambiare le cose?
«Lo scambio culturale è sempre arricchente. Sta soprattutto a noi, come risposta di civiltà e come Cristiani, recuperare radici e conoscenza del Vangelo. Una guerra basata su ideali religiosi non si sconfigge con le armi. Ma le popolazioni devono conoscere la loro storia che dà risposte di Fede. Il Vangelo vince l’odio e la guerra, ed è il messaggio che ci ha lasciato Gesù insieme alla sua umanità». Gli riferiamo le parole di Papa Francesco, la definizione di questo attentato come di una barbarie “insensata contro Dio e contro l’uomo”. Don Luca ha la forza di concludere con parole di speranza: «E’ la sintesi. Un abonimio contro Dio e contro l’uomo. Adesso spero che il sangue di mia sorella Simona, del bimbo che portava in grembo e di tutte le altre vittime possa contribuire a costruire un mondo più giusto e fraterno».


FONTE: Famiglia Cristiana N. 28
10 luglio 2016


Questo articolo si collega idealmente con quello postato in precedenza, sempre incentrato sulla strage di Dacca in Bangladesh. E lo posto con molto piacere perchè a parlare è il fratello di Simona Monti, una delle vittime di questa assurda strage, nonchè sacerdote di un paese in provincia di Rieti.
Nonostante il grandissimo dolore per la perdita di sua sorella (e di un suo prossimo nipote, Michelangelo, che la sorella portava nel grembo), le parole di don Luca sono molto riconcilianti e invitano al Perdono, alla Pace e alla Speranza. E non potrebbe essere altrimenti, perchè è questo che Gesù ci ha insegnato con la sua Parola, ad amare tutti, anche chi ci vuole del male, e a perdonare sempre, qualsiasi cosa accada.  Ponti dobbiamo costruire, non muri..... e questi ponti devono essere tesi anche verso il popolo musulmano, che hanno una religione diversa dalla nostra, è vero, la quale lascia aperte diverse interpretazioni..... ma che sono sempre nostri fratelli, figli come noi di un unico Dio che ci ama di un Amore infinito. E la stra-grande maggioranza dei musulmani, ricordiamocelo bene, sono persone buone, pacifiche, che proprio nulla hanno a che fare hanno con i terroristi jihadisti. E il post che ho riportato prima di questo, incentrato sulla meravigliosa figura di Faraaz Hossain, ce lo testimonia molto bene!
Cerchiamo sempre di essere portatori di Pace, di Riconciliazione e di Speranza..... perchè il male si vince con il Bene, e l'odio con l'Amore. Sempre!

Marco

lunedì 18 luglio 2016

Una "Luce" risplende durante la strage di Dacca: quella di Faraaz Hossain, che ha donato la vita per i propri amici

Stiamo vivendo un periodo molto difficile e doloroso della nostra storia, nessuno può negarlo! Siamo appena stati colpiti al cuore dall’ennesimo attentato terroristico perpetrato dai terroristi jihadisti a Nizza, con oltre 80 vittime accertate, ed ecco che l’indomani ci giunge notizia di un tentato colpo di stato in Turchia, con tante, tante altre vittime... sia parla di circa 200 persone, tra militari e cittadini. Appena prima di questi fatti si è consumata una strage ferroviaria nel nostro paese, in Puglia, con due convogli che si scontrano frontalmente a 100 Km/h e numerose altre vittime innocenti. Tanti avvenimenti brutti, dolorosi, che hanno seguito cronologicamente l’attentato al ristorante Holey Artisan Bakery di Dacca, in Bangladesh, nel quale sono state barbaramente uccise venti persone, di cui nove italiani.
Sono ancora sotto i nostri occhi le immagini delle 9 bare che vengono fatte scendere dall’aereo che le ha riportate in Italia, ciascuna avvolta dal tricolore, tra lacrime di commozione, abbracci e tanto, tanto dolore.


Ed è proprio su questo fatto che mi voglio soffermare con questo post, perché in quel ristorante di Dacca, in mezzo a tanto spargimento di sangue ed orrore, c’è stata una vicenda che mi ha colpito al cuore, che mi ha fatto capire, se mai ce ne fosse ancora bisogno, che anche in mezzo al nero più nero c’è sempre una Luce che risplende, la Luce dell’Amore, quella forza che nessun atto terroristico, o persecuzione, o guerra che sia, potrà MAI in nessun modo fermare!

Ma veniamo ai fatti: i terroristi jihadisti hanno fatto irruzione all’improvviso nel ristorante di Dacca, armati di pistole, coltelli ed esplosivo e hanno preso in ostaggio tutte le persone lì presenti. Hanno intimato, ad ognuno di loro, di recitare qualche versetto del Corano. Chi non lo ha fatto è stato torturato e ucciso….. chi invece lo conosceva è stato lasciato libero. Un’assurdità nell’assurdità…. uccidere in nome di Dio, la BESTEMMIA più grande che possa esistere, perché il nostro buon Dio, padre amoroso di TUTTI gli uomini, tutto vorrebbe tranne che i propri figli si uccidano li uni con gli altri. Ma alla follia dell’uomo non c’è mai fine…. e quindi si può arrivare ad uccidere anche nel nome di una religione, da persone che di religioso non hanno proprio nulla! Nove italiani dicevamo, ma anche sette giapponesi, un americano, due bengalesi e un indiano, vittime di questa assurda strage, e loro stessi, gli attentatori, vittime a propria volta dalle forze speciali bengalesi intervenute con un blitz nelle prime ore del mattino del giorno seguente, per liberare gli ostaggi rimasti in vita.


In una vicenda macabra come questa tutto lascerebbe pensare che il male abbia trionfato, con la sua scia di sangue, di dolore e di morte. E invece no….. perché anche in una vicenda trucida come questa, possiamo raccontare di una meravigliosa storia di Amore, quello Vero, con la “A” maiuscola, un Amore che si fonde all’eroismo e che supera i confini della pazzia umana e della morte stessa. Perché l’Amore, quello Vero, è più forte anche della morte!

La storia che raccontiamo è quella di Faraaz Hossain, ventenne bengalese di fede musulmana, presente anch’egli nel ristorante di Dacca assieme alle altre persone. Lui, musulmano, il Corano lo conosceva bene e per questa ragione i terroristi jihadisti lo avevano risparmiato. Quella sera, a cena con lui, vi erano due sue care amiche, Tarishi Jain, indiana di 19 anni, e Abinta Kabir, di 18 anni, entrambe studentesse del college americano Emory University. Faraaz, risparmiato dagli attentatori, una volta presa la strada per uscire dal locale aveva chiesto ai terroristi che anche le sue due amiche venissero liberate assieme a lui. I testimoni superstiti di quel terribile giorno hanno raccontato che uno dei capi aveva “squadrato” per bene le due giovani ragazze, ma aveva respinto la richiesta del giovane perché vestite in maniera troppo “occidentale”. Sentito questo Faraaz è tornato sui suoi passi, ha deciso di non abbandonare le proprie amiche al loro destino ed è rimasto accanto a loro. E, assieme a loro, è stato barbaramente ucciso.

Era un giovane di belle speranze Faraaz Hossain, i suoi amici lo descrivono come «un ragazzo straordinario, pieno di talento e dal brillante rendimento scolastico». Altri hanno aggiunto che aveva «una spiccata propensione per gli altri, che dimostrava ogni giorno con il volontariato e partecipando a diversi progetti scolastici».
Faaraz, appena ventenne, aveva ancora tutta la vita davanti, una vita sicuramente brillante, radiosa, con tante belle prospettive…… eppure davanti al triste scenario che si stava prospettando dinanzi ai suoi occhi non ci ha pensato due volte, è voluto rimanere a fianco delle sue amiche e di tutti gli altri ostaggi, quando avrebbe potuto andarsene, correre verso la libertà, verso una vita bella, lunga e probabilmente ricca di soddisfazioni.
Quando le forze speciali sono entrate nel locale, hanno trovato i corpi dei tre giovani stretti insieme, come se fossero un tutt’uno, uniti da un legame di amicizia così forte che ha superato le barriere della paura e della stessa morte. E questo, lasciatemelo dire, è l’ennesima dimostrazione che l’Amore è la Forza più grande dell’Universo e che nulla, nulla, neppure la più grande, assurda pazzia dell’uomo più fuorviato, assatanato e malato di questo mondo, potrà mai vincere. MAI!

Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” ha detto Gesù.
Faraaz non era Cristiano, era Musulmano (e qui lo scrivo con la “M” maiuscola, perché chi vive la propria Fede in questo modo, con vero Amore, merita sempre il “maiuscolo”) e forse queste parole non le conosceva neppure. Ma questo poco importa, perché queste parole le aveva stampate nel cuore, come il più Cristiano dei Cristiani, come il più Santo dei Santi. E le ha messe in pratica queste parole, donando la sua ancora giovane vita per i suoi amici e per un innato senso di giustizia. Ha sacrificato la sua vita perché aveva il cuore puro, l’animo candido…. e queste sono Virtù che non conoscono limiti di razza, età, estrazione sociale e religione.

Grazie Faraaz per l’esempio che ci hai dato, grazie per averci dimostrato ancora una volta che l’Amore è più forte del male, che l’Amore è più forte di tutto e di tutti! Ora io ti immagino felice e sorridente nei Giardini del Signore, come un fiore profumatissimo e dai meravigliosi e variopinti colori. Da Lassù prega per noi caro Faraaz….. perché il mondo, ora più che mai, ha tanto bisogno del tuo aiuto e del tuo Amore.
Grazie Faraaz, di tutto!

Marco

sabato 2 luglio 2016

Strage Orlando, Mahmoud ElAwadi, musulmano, dona il sangue e scrive un intenso messaggio di solidarietà

Ha donato il sangue, anche se non poteva mangiare né bere a causa del Ramadan. Mahmoud ElAwadi, musulmano di 36 anni, emigrato dall'Egitto agli Stati Uniti, non ci ha pensato due volte a portare il suo piccolo aiuto ai sopravvissuti e ai feriti della strage di Orlando. Su Facebook ha pubblicato la foto del prelievo e ha scritto un potente messaggio di solidarietà, che ha raggiunto più di 400mila "mi piace" e oltre 170mila condivisioni. Come essere umano - ha spiegato poi - era il minimo che potessi fare per i miei amici americani.


- Sì, il mio nome è Mahmoud, un orgoglioso musulmano americano

- Sì, ho donato il sangue nonostante io non possa mangiare né bere a causa del Ramadan, come lo hanno donato centinaia di altri musulmani qui ad Orlando

- Sì, sono arrabbiato per ciò che è successo l'altra notte e per tutte le vite innocenti che abbiamo perso

- Sì, sono triste, frustrato e furioso per il fatto che un pazzo proclamatosi musulmano abbia fatto questo atto vergognoso

- Sì, sono stato testimone della grandezza di questo Paese, dal momento che ho visto centinaia di persone stare in piedi sotto al sole ad aspettare il loro turno per donare il sangue, dopo che era stato detto loro che c'erano almeno 5-7 ore di attesa

- Sì, questa è la nazione più grande sulla Terra: ho visto persone di ogni età, inclusi i bambini, distribuire volontariamente acqua, succhi di frutta, ombrelli, creme solari. Ho anche visto i nostri anziani veterani andare a donare il sangue e, insieme a loro, donne musulmane con con il hijab portare cibo e acqua ai donatori in fila

- Sì, possiamo rimanere uniti e prendere posizione contro l'odio, il terrorismo, l'estremismo e il razzismo

- Sì, il nostro sangue ha lo stesso aspetto quindi uscite fuori e donate perché i nostri concittadini americani sono feriti e ne hanno bisogno

- Sì, la nostra comunità nella Florida centrale ha il cuore spezzato ma mettiamo i nostri colori, le nostre religioni, etnie, i nostri orientamenti sessuali, le nostre idee politiche in disparte e uniamoci contro chi ha provato a ferirci 



Mahmoud ElAwadi è stato uno dei tanti cittadini rimasti in piedi per ore sotto al sole ad aspettare il proprio turno per donare il sangue. Un gesto d'amore, di civiltà e di solidarietà, che a molti è venuto del tutto spontaneo. Grazie per averci ricordato che siamo un'unica grande comunità in lotta contro l'odio, si legge in uno dei commenti sotto al post. Molti utenti lo hanno ringraziato per aver dimostrato che l'Islam è una religione di pace: Hai fatto ciò che avrebbe fatto qualsiasi altro buon musulmano, scrive uno di questi.

Guardate il mio sangue - ha aggiunto ElAwadi -. Non è diverso da quello di un altro. Siamo tutti esseri umani, in fin dei conti. Non importa ciò in cui crediamo e quale sia il nostro nome, siamo tutti esseri umani, alla fin fine.

di Ilaria Betti

14 giugno 2016

FONTE: Huffingtonpost.it
http://www.huffingtonpost.it/2016/06/14/strage-orlando-musulmano-dona-sangue_n_10451776.html?ref=fbpr%C2%A0



La strage perpetrata ad Orlando, negli Stati Uniti, e quella ancor più recente avvenuta a Dacca, in Bangladesh, sono dei veri e propri "colpi al cuore" per tutta l'umanità, che mai forse come ora si sente insicura, sotto il mirino di queste frange terroristiche senza scrupoli o di qualche persona esaltata e totalmente fuorviata. 
Questi avvenimenti non devono tuttavia ingenerare in noi occidentali, odio nei confronti degli stranieri e sopratutto nei confronti dei musulmani, perchè un conto è essere musulmano e un conto è essere un estremista islamico! Il vero musulmano, ovvero colui che segue con coscienza e Amore la propria religione, non ha niente a che vedere con questi terroristi ed, anzi, essi rigettano totalmente questi scempi perpetrati contro il genere umano. Questo io lo dico da Cristiano, ma so bene che i veri musulmani sono persone pacifiche e rispettose della vita e del credo altrui, proprio come quest'uomo 36enne protagonista di questa bella storia e di questo bel messaggio lasciato a beneficio di tutti.
Non commettiamo il terribile, tragico errore di entrare nel vortice dell'odio..... perchè questo è proprio quello che vuole l'Isis o qualsiasi altra frangia terroristica che perpetra queste assurde carneficine. Essi ricercano proprio questo: ingenerare paura e odio nella gente, per creare un terreno "fertile" atto a sviluppare guerre ideologiche tra le popolazioni, che altro non porterebbero che a nuove carneficine, a nuovo spargimento di sangue e a tanto, tanto dolore.

L'odio genera sempre nuovo odio.... così come l'Amore genera sempre altro Amore. Noi stiamo sempre dalla parte dell'Amore, preghiamo per la Pace, sopratutto la Pace dei cuori, e preghiamo perchè queste persone che si prestano ad atti così barbari e disumani possano aprire gli occhi e il cuore, capire i propri errori, cambiare, e tornare sulla retta via. Cambiare è sempre possibile per chiunque, e con l'Amore, la preghiera e l'esempio possono cambiare anche le persone che ci sembrano più crudeli e insensibili. Il nostro compito e quello di essere sempre seminatori di Pace, come il nostro buon Dio, Padre di TUTTI gli uomini ci chiede, e così facendo la Pace scenderà nel cuore delle persone e si espanderà in tutto il mondo.

Marco