mercoledì 27 gennaio 2016

Lui, curdo, ce l'ha fatta: ora aiuta i profughi


«Il ragazzo si farà», pensarono i genitori quando Hamdi Ulukaya lasciò la comunità di chobani, i pastori curdi che vivono da seminomadi spostando le greggi lungo l’Eufrate, per sbarcare negli States. Era il 1994. Aveva 22 anni, una laurea in Scienze politiche, sapeva come cagliare il formaggio, ma sognava l’America. Quasi impossibile per un chobani dell’entroterra turco. Vent’anni dopo il pastorello è un 43enne che ha invaso con il suo yogurt greco le case degli yankee, raggranellando un patrimonio da 1,5 miliardi di dollari.

Per vivere se ne farà bastare la metà. Gli altri 750 milioni li destinerà integralmente in attività filantropiche, specialmente rivolte a profughi e rifugiati. Una tipica storia americana: immigrato curdo con passaporto turco, diventa ricco grazie a un alimento greco, tuttavia prodotto a New York. Naturalmente, lo yogurt non poteva che chiamarsi "Chobani". La società nasce nel 2005 e all’inizio conta cinque dipendenti. Dieci anni dopo la forza lavoro sarà di oltre duemila addetti che producono varietà di yogurt per Stati Uniti, Australia, Gran Bretagna e Canada.

Il successo non gli ha evitato qualche grana. Dalla battaglia giudiziaria condotta dall’ex moglie per ottenere una parte del patrimonio, alla necessità di trovare un modo sostenibile per smaltire gli scarti di una produzione casearia andata ogni oltre aspettativa. Quest’ultima sfida Ulukaya la sta affrontando alla sua maniera: il siero viene trasformato, e venduto, per integrare il mangime del bestiame; oppure viene conferito ai produttori di biogas.

Quanto alle schermaglie con gli avvocati divorzisti, quella è un’altra storia. Al tempo delle supervalutazioni delle società che puntano tutto sul web, lo yogurt del "pastore" riporta a terra, letteralmente, gli investitori di Wall Street. Coca Cola e Pespi, da sempre acerrime rivali, si stanno sfidando anche nel tentativo di acquistare una cospicua quota di minoranza dal tycoon turco. Il marchio viene valutato quasi 3 miliardi di dollari. Se l’affare andasse in porto anche per un pacchetto pesante un terzo della proprietà, il figlio del pastore dell’Eufrate porterebbe a casa un altro miliardo. Una buona notizia anche per i profughi, a cui Ulukaya già destina il 10% dei profitti annuali, da sommare ai 750 milioni degli asset che andranno in beneficenza. Il braccio operativo delle operazioni umanitarie sarà la fondazione "Tent", che non a caso sta per "tenda".

È stata istituita da Hamdi Ulukaya, che annuncia di aver coinvolto anche altre multinazionali, come Airbnb, Ikea Fundation, Mastercard e Ups, le quali si impegnano a promuovere non solo l’assistenza ma anche l’integrazione dei rifugiati. Chobani ne ha già assunti 600. Il progetto della "Tent Fundation", divenuta partner dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati, verrà presentato martedì a Davos durante l’annuale "World economic forum" nella località delle alpi svizzere. Secondo il patron di Chobani, il settore privato può essere decisivo nell’affrontare l’emergenza profughi, perché in grado di poter integrare i rifugiati nei processi produttivi, facendoli sentire da subito protagonisti del proprio destino e non più degli "assistiti", costretti in un limbo senza futuro.

In questa direzione "Tent Fundation" ha annunciato un intervento immediato da un milione di dollari. Verranno finanziati, in 20 pacchetti da 50mila dollari ciascuno, gruppi e organizzazioni che affrontano la crisi dei rifugiati in Europa, Medio Oriente e negli altri continenti. «L’evoluzione crescente, l’impatto e la prosecuzione della crisi dei rifugiati ci obbliga ad esplorare nuovi modi di risolvere la più grande sfida umanitaria del nostro tempo», spiega Ulukaya, che a tutti si presenta fieramente come immigrato. Un biglietto da visita che potrebbe mettere in disordine l’acconciatura del miliardario Donald Trump, il quale sta fondando la corsa verso la Casa Bianca su una martellante campagna anti-immigrati. E che adesso dovrà vedersela anche con un barattolo di yogurt.

di Nello Scavo

16 gennaio 2016


FONTE: Avvenire


«E' più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel Regno dei Cieli» ha detto Gesù circa 2000 anni fa. Ciò nondimeno, se una persona ricca devolverà parte dei suoi bene e aiuterà chi è più povero e bisognoso di lui, certamente anche per lui le porte del Paradiso si potranno spalancare. Ed è proprio quello che ha fatto Hamdi Ulukaya, miliardario che si è fatto da solo, che ha deciso di devolvere gran parte della sua ricchezza a favore dei profughi, aiutandoli anche nel loro inserimento lavorativo e sociale. E non è veramente poco considerando che il problema dei profughi è, per parole dello stesso Hamdi, «la più grande sfida umanitaria del nostro tempo».
Da parte mia non posso che fare il mio plauso a questo miliardario curdo "re dello yogurt", che sicuramente non
ha dimenticato le sue origini povere da cui è partito, e augurarmi che tanti altri miliardari in ogni parte del mondo, similmente a lui, vogliano impiegare parte dei loro averi per opere di bene a favore di chi è maggiormente nel bisogno. Se questo avverrà, allora tutta l'intera nostra società ne trarrà grande beneficio. 
Grazie Hamdi !

Marco

venerdì 15 gennaio 2016

Mandatemi cartoline di Natale. La storia di Safyre, la bimba orfana e sfigurata dopo l’incendio


La piccola di 8 anni ha perso il padre e i tre fratelli nel rogo della sua casa a New York. Sono arrivati 300 mila biglietti da tutto il mondo e ora sarà ospite a Disneyland

Dieci giorni fa mentre preparava l’albero di Natale, Safyre aveva espresso un desiderio che sembrava irrealizzabile: «Mi fate un regalo di Natale? Vorrei ricevere cartoline da tutto il mondo per appenderle al mio alberello». Sembrava un sogno irrealizzabile. Zia Liz Dolder l’ha consolata: «Ce ne stanno cento, ma forse riusciremo a riceverne dieci». Poi ha guardato negli occhi questa sua nipote di 8 anni, uscita devastata nel corpo e nell’anima dall’inferno di un incendio due anni fa a New York, unica sopravvissuta nel rogo che ha ucciso suo padre e i suoi fratelli. Ha pensato che meritava di più di dieci cartoline e ha postato su Facebook: «Vorrei ricevere cartoline di Natale da tutto il mondo, aiutatemi».
Il post è diventato virale, in pochi giorni sono arrivate 300 mila cartoline, 3.500 pacchi e donazioni per 325 mila dollari perché nel frattempo è stato aperta anche una raccolta fondi su un sito di crowdfunding. Denaro che servirà per coprire le costose spese mediche. Ed ora un altro regalo per Safyre Terry: un viaggio di una settimana a Disneyland in Florida per lei, la zia e i suoi cugini, offerto dalla fondazione Baking Memories 4 Kids per lei, che si occupa di finanziare viaggi nei parchi di divertimenti per bambini malati terminali.
«Mia nipote vuole vivere, ama il Natale, per noi è un esempio di grande coraggio» ha dichiarato zia Liz ai vari media americani.


Il tragico incendio

Nel maggio del 2013 Safyre riuscì a sopravvivere a un spaventoso incendio negli Stati Uniti. Morirono il padre David, la sorella di tre anni Layah, il fratellino Michael di 2 anni e Donovan, di appena 11 mesi. Quando i vigili del fuoco riuscirono a entrare in casa trovarono la piccola abbracciata al padre che tentò disperatamente di proteggerla dalle fiamme. Da quell’inferno, viva, è uscita solo lei. Ma Safyre ha trascorso mesi in ospedale e si è sottoposta a decine di interventi chirurgici per tentare di rendere meno tremende le ustioni che hanno martoriato il suo volto e il suo fisico. Ha subito l’amputazione della mano destra e di un piede, ma non ha perso il sorriso e la gioia di vivere.



Per inviare cartoline a Safyre, questo è il suo indirizzo: 

Safyre Terry

 P.O. Box 6126

 Schenectady NY 12306


di Redazione Salute Online

18 dicembre 2015


FONTE: Il Corriere


Una vicenda molto dolorosa quella della piccola Safyre, sfigurata da un tragico incendio e rimasta orfana dei propri genitori, ma che denota anche la grande generosità della gente che ha risposto in grande stile all'appello della bambina, "inondandola" letteralmente di cartoline e anche di tante, tante donazioni, che le serviranno certamente per la cura della sua salute.
Cosa dire in proposito? E' proprio in questi momenti che si vede il vero cuore dell'uomo, un cuore che sa commuoversi e rispondere con grande altruismo e generosità a situazioni delicate come questa. E anche questo è Amore!

Marco

lunedì 11 gennaio 2016

La bella storia della piccola Beth: vende braccialetti per l’amica malata


A nove anni in quattro mesi ha raccolto 43mila euro per acquistare una piscina di acqua salata, unica terapia efficace per l’amichetta del cuore

«Non si è mai troppo piccoli o troppo giovani per fare la differenza». E’ il motto della giovanissima Bethany Walker, bambina americana di nove anni che per aiutare Anne, l’amica del cuore affetta da una rara malattia genetica invalidante si è rimboccata le maniche e ha cominciato a vendere su Facebook braccialetti di gomma color arcobaleno: in soli 4 mesi ha raccolto 43mila euro per aiutare l’amica.

La malattia

Anne soffre di epidermoliosi bollosa, una rara malattia genetica della pelle che causa fragilità cutanea e provoca la comparsa di bolle che rende estremamente fragile la cute e le mucose, e causa bolle, vesciche e lesioni continue dovute al distacco dell’epidermide. La malattia, chiamata anche sindrome dei bambini farfalla (per la fragilità della pelle pari a quella delle ali di una farfalla) è anche molto dolorosa.

La raccolta fondi

L’eccezionale raccolta di fondi ha permesso ai genitori di Anne di acquistare e installare nel giardino di casa una piscina terapeutica con acqua salata, l’unico trattamento efficace al momento esistente contro la malattia. «Quando mia figlia mi ha raccontato l’idea dei braccialetti ho pensato che fosse molto dolce, ma non avrei mai creduto a un successo del genere» ha raccontato la mamma di Bethany Walker a Today news. «Quando è nata Anne - racconta la madre - le mancava la pelle sui piedi e intorno a un polso. I medici ci hanno subito detto che la sua vita sarebbe stata un inferno. Anne non può uscire, non può andare in bicicletta, non può saltare con la corda o andare sui pattini, ma questa piscina per noi è molto di più di una piscina, ci ha cambiato la vita, ha riunito la nostra famiglia e permette a mia figlia, almeno per un po’, di sentirsi come una normale bambina di 10 anni».

di C. Mar

7 agosto 2015

FONTE: Il Corriere